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“Towards a sustainable, humancentric and resilient European industry”

di Walter Ansaldi

Industry 5.0 risulta essere una vera e propria rivoluzione culturale, tecnologica ed economica. Una sfida che le aziende devono sostenere, quindi si devono preparare. Il contesto in cui muoversi è sempre lo stesso: innovazione e relativo cambiamento. E qui le aziende…

Così la Comunità Europea definisce la strategia sottesa al progetto Industry 5.0. Questo paradigma si concentra non solo sullo sviluppo tecnologico, ma anche su quello culturale delle imprese, andando oltre la produzione di beni e servizi per il profitto. Questo scopo più ampio è costituito da tre elementi fondamentali: centralità dell’essere umano, sostenibilità e resilienza.
Una delle transizioni paradigmatiche più importanti che caratterizzano l’Industria 5.0 è infatti lo spostamento del focus dal progresso guidato dalla tecnologia a un approccio completamente incentrato sull’essere umano. Questo significa ambiente di lavoro sicuro e favorevole, rispetto dei diritti umani, competenze e inclusione.L’analisi effettuata dalla Comunità Europea sul contesto economico mondiale evidenzia che senza una profonda trasformazione industriale, sarà impossibile per l’Europa realizzare la sua ambizione di diventare un’economia più resiliente, sostenibile, circolare e rigenerativa, preservando e coltivando allo stesso tempo la sua competitività a livello internazionale (sostenibilità competitiva). Pertanto, si propone una visione nuova e audace per Industry 5.0 che superi Industry 4.0 e fornisca la direzione necessaria per guidare l’innovazione verso nuove forme di valore economico e sociale che sappiano indirizzare contemporaneamente gli obiettivi di prosperità con le esigenze delle persone e la salvaguardia del pianeta.

Perché andare oltre Industry 4.0?
L’approccio di Industry 4.0, pur nella sua efficacia, è stato essenzialmente tecnologico e centrato sull’emergere di oggetti cibernetici-fisici, offrendo la promessa di maggiore efficienza attraverso la connettività digitale e poi l’intelligenza artificiale. Tuttavia, il paradigma di Industry 4.0, così come attualmente concepito, non è adatto allo scopo in un contesto di crisi climatica ed emergenza planetaria, né è in grado di affrontare tensioni sociali profonde. Al contrario, è strutturalmente allineato all’ottimizzazione dei modelli aziendali e del pensiero economico che sono oggi alla radice delle minacce che si devono affrontare. L’attuale economia digitale è un modello in cui il vincitore prende tutto, creando un monopolio tecnologico e un’enorme disuguaglianza di ricchezza. L’approccio di Industry 4.0 non ha le caratteristiche progettuali indispensabili per rendere possibile la trasformazione sistemica e garantire il necessario disaccoppiamento dell’uso delle risorse e dei materiali dagli impatti ambientali, climatici e sociali negativi.

Cos’è Industry 5.0?
Si è detto che gli elementi fondamentali di Industry 5.0 sono: centralità dell’essere umano, sostenibilità e resilienza. Proviamo ad analizzarli in maggior dettaglio.
Sostenibilità significa sviluppare sistemi di produzione basati su energie rinnovabili, attraverso processi circolari che riutilizzino e riciclino le risorse naturali, riducano gli scarti e minimizzino l’impatto ambientale.

Approccio umano significa mettere l’uomo (e non la macchina o il robot) al centro del modello produttivo, garantendo che l’uso della tecnologia non violi i diritti fondamentali dei lavoratori, come il diritto alla privacy, l’autonomia e la dignità umana. Detto in altro modo, se Industry 4.0 si basa sull’interconnettività tra macchine e sistemi informatici, Industry 5.0 cerca di combinare i ruoli delle persone e delle macchine affinché possano rafforzarsi ed essere complementari.
Resilienza vuol dire superare la fragilità dell’industria europea sviluppando la capacità di adattarsi a situazioni avverse con risultati positivi.
Descritto in questo modo, sembra un dilemma insolubile: come si può aumentare la qualità del lavoro, la sostenibilità e la resilienza senza sacrificare efficienza e produttività? La risposta sta nell’utilizzo evoluto delle nuove tecnologie, quali l’intelligenza artificiale (v. paragrafo successivo) e nello sviluppo di modelli di business basati sulla servitizzazione (pay per use). Si tratta di rivedere alcune delle logiche aziendali e applicare il cambiamento. Le aziende devono passare da un’ottica basata sui bassi costi delle materie prime a una basata sull’alta qualità (del servizio); da un’ottica basata sui bassi costi del personale a una basata sull’elevata professionalità e, non ultimo, da un’ottica basata sui bassi costi di produzione (delocalizzazione) a una basata sulla vicinanza al cliente.

In questo modo Industry 5.0 diventa l’evoluzione logica e coerente di Industry 4.0, andando oltre le best practice votate all’efficienza per puntare sull’economia del risultato.

Quale le tecnologie implicate
Secondo la Commissione Europea esistono sei categorie tecnologiche essenziali per implementare Industry 5.0:
1) Interazione individualizzata uomo-macchina.
2) Tecnologie “bioinspired” e materiali intelligenti.
3) Digital Twins e simulazione
4) Tecnologie di trasmissione, storage e analisi dei dati
5) Intelligenza artificiale (AI)
6) Tecnologie rinnovabili per l’efficienza energetica

Nessuna di queste è radicalmente nuova, ma è la loro combinazione all’interno del paradigma di sostenibilità, approccio umano e resilienza, a definire un approccio radicalmente nuovo. In particolare, si tratta di indirizzare soluzioni quali advanced digitalization, big data e AI per affrontare i nuovi requisiti emergenti dal panorama industriale, sociale e ambientale. Questo significa utilizzare dati e AI per aumentare la flessibilità produttiva e irrobustire la value chain. Significa inoltre implementare tecnologie che si adattino ai lavoratori (e non viceversa). Inoltre, fare prodotti che durano nel tempo grazie all’auspicabile modello pay per use contribuisce a migliorare il tempo di utilizzo (il ciclo di vita) dei prodotti con un impatto assolutamente favorevole sullo sfruttamento delle risorse del pianeta.

Un tema trasversale rispetto alle diverse tecnologie è quello relativo alle competenze. Una recente indagine realizzata, fra gli altri, dal Laboratorio RISE dell’Università degli Studi di Brescia presso una vasta platea di Aziende manifatturiere di diverse dimensioni, ha evidenziato che per il 91% degli intervistati la mancanza di competenze rappresenta il principale ostacolo allo sviluppo progettuale, risultato decisamente più significativo rispetto ad altri potenziali ostacoli quali i costi troppo alti (42%) e la mancanza di soluzioni tecnologiche adeguate (30%).

I benefici per il mondo industriale
Benché forse in maniera meno immediatamente intuitiva che per Industry 4.0, è fuori di dubbio che il comparto industriale potrà trarre notevoli vantaggi dal nuovo paradigma. Anche non considerando gli incentivi governativi, si devono considerare i risparmi energetici, la capacità di attrarre i migliori talenti, la maggiore resilienza. Secondo le stime della Comunità Europea questi vantaggi si potranno quantificare nel medio periodo, mentre nel breve gli investimenti necessari potrebbero portare a una temporanea perdita di competitività, per cui sarà necessario pianificare bene gli interventi, tenendo d’occhio la competitività immediata e di lungo termine.

Lo studio già citato dell’Università di Brescia ha peraltro evidenziato che per quasi il 90% degli intervistati mettere l’uomo al centro è un’esigenza effettiva della manifattura di oggi e del futuro. La percentuale sale se si considera la domanda inerente alla sostenibilità, con ben il 94% delle imprese che ritiene che rappresenti un’esigenza concreta dell’industria. Esigenza che, secondo gli intervistati, non è pienamente supportata da Industry 4.0.
Occorre però tenere presente che, per impostare il percorso verso una trasformazione sistemica, le aziende devono cambiare mentalità e orientare la propria azione verso gli obiettivi di Industry 5.0. Le conseguenze di tale transizione sono profonde e mettono direttamente in discussione il sistema di incentivi seguito oggi dalla maggior parte delle aziende, incentrato sui guadagni a breve termine, nonché sulla prevalenza degli interessi degli shareholder.

Casi concreti
Già oggi ci sono aziende attive nei settori tecnologici e scientifici che stanno sperimentando con Industry 5.0. In particolare interazione uomo-macchina, utilizzo del cloud, intelligenza artificiale e modelli di produzione sostenibili.
Per il secondo anno consecutive la Comunità Europea ha emesso un bando di concorso (Industry 5.0 Award Contest) per individuare i progetti più interessanti. Le iscrizioni per il 2023 si sono chiuse a settembre e non sono ancora noti i vincitori. Per il 2022 i progetti più interessanti sono stati:

RAMP-PV: processo di riciclaggio ecologico per materie prime di alta qualità (come silicio e argento) da rifiuti fotovoltaici industriali. Oltre ai benefici ambientali, il progetto contribuisce a ridurre la dipendenza dell’industria europea dalle materie prime e a minimizzare i rischi per la salute dei lavoratori.
SECOIIA: sicurezza informatica per aumentare la resilienza dell’industria. Contribuisce alla salute, alla sicurezza e al benessere dei lavoratori consentendo interazioni uomo-robot sicure e protette in spazi non segregati.
SHERLOCK:  soluzioni per migliorare le condizioni di lavoro e l’ergonomia. Riduce l’impronta ambientale del processo produttivo aumentando l’efficienza e riducendo gli sprechi. Il progetto sviluppa robot collaborativi riconfigurabili, con conseguente incremento di flessibilità e resilienza.

Il Contributo PNRR
Con l’approvazione definitiva del DL n. 181/2023 – Decreto sicurezza energetica è stato tolo l’ultimo vincolo al varo ufficiale del Piano Transizione 5.0, ovvero il piano di incentivi voluto dal Governo per sostenere la digitalizzazione delle industrie italiane, con particolare attenzione all’ambiente e al contenimento dei consumi energetici.
Saranno previsti tre nuovi crediti di imposta (per un totale di 6,3 miliardi di euro nel biennio 2024-25) da aggiungere agli incentivi del piano Transizione 4.0, che sosterrà la digitalizzazione dei processi produttivi.
I tre crediti saranno così suddivisi: acquisto di beni strumentali materiali o immateriali ;acquisto di beni necessari per l’autoproduzione e l’autoconsumo da fonti rinnovabili ad esclusione delle biomasse ; formazione del personale con le competenze necessarie per la transizione.

E adesso?
L’approccio che l’Unione Europea ha adottato con Industry 5.0 è innovativo e coraggioso. Coraggioso soprattutto perché viene proposto in un momento in cui da più parti (associazioni di categoria, schieramenti politici, canali social) si levano voci contro scelte che possono, nel breve periodo, rivelarsi costose; soprattutto per chi ha uno sguardo limitato al puro contingente. Certo, anche piantare un ulivo è, nel puro contingente, un’operazione costosa e con ROI negativo, ma se i nostri nonni avessero ragionato in questo modo oggi i nostri frantoi girerebbero a vuoto.

La sfida che ci aspetta consiste nell’avere chiari gli obiettivi di qualità della vita e del lavoro per oggi e per gli anni futuri, cercando di riallineare gli obiettivi strategici senza dimenticare il contingente, a livello aziendale (redditività e competitività) e sociale (equità).
Per fare questo sono necessari diversi cambiamenti: un cambiamento culturale; un cambiamento del modello di business; un miglioramento della capacità di management.
Altrimenti Industry 5.0, invece di essere il trampolino per il rilancio di una leadership europea a livello economico e industriale, sarà solo la scusa per giustificare l’erogazione di contributi a pioggia graziosamente concessi dalla monarchia di turno ai sudditi riconoscenti.Che la competitività del sistema Europa e di tutti i suoi paesi membri, fosse un tema molto serio lo si era già intuito da più parti. L’incarico a Mario Draghi per un Assessment ne è la conferma palese.