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Il futuro, la scuola e le tre “P”

di Marco Maiocchi

Il nostro futuro è innegabilmente legato alla cultura che saremo in grado di trasmettere alle future generazioni. In questo non solo la scuola, ma ciascuno di noi può e deve dare il proprio contributo.
Inutile recriminare sull’apparente vuoto delle generazioni che si vedono. Bisogna passare dal recriminare al fare, altrimenti non potremo fare altro che mettere 5 cellulari nella nostra tuta anti-cultura che di gold non ha proprio nulla, con risultati che lascia comprendere.

“Papà, perché quella ragazza tiene la maglietta scoprendosi una spalla?”
“Facendo così… è convinta di apparire più bella…”
“Che cosa stupida! Non conta essere belli: conta essere felici!”

Questo dialogo con mia figlia, quando aveva nove anni, mi è sempre rimasto in mente. La sua affermazione è di una semplicità sconcertante, ma è completamente disattesa in tutti gli atti di qualunque popolazione nel mondo occidentale.
Viviamo in un mondo governato da obiettivi economici, da necessità di crescita della ricchezza, da volontà di benessere economico per il futuro nostro e dei nostri figli, e questo trascina un insieme di esigenze che riteniamo possano agevolare tali obiettivi: una scuola che prepari al lavoro, un contesto economico che aiuti la crescita delle imprese, una politica che realizzi infrastrutture e fornisca servizi che favoriscano l’economia delle imprese e il benessere dei cittadini.

Ma la politica e gli obiettivi a cui partecipiamo non sono né liberamente scelti né neutri: sono il prodotto di una progressiva “educazione” da parte di chi ha il potere di farlo: il denaro.
Qualche considerazione, già nel lontano 1974 l’ammontare dei consumi familiari in Francia (in Italia questi dati non sono facilmente raggiungibili) ha eguagliato l’ammontare delle retribuzioni: dopo quell’anno i consumi sono sempre stati superiori alle retribuzioni[1]. Guarda caso, il periodo è lo stesso in cui irrompono sul mercato le televisioni private, quelle che sostengono i loro ricavi mediante pubblicità e spinta al consumo. Ovviamente era necessario accompagnare alle televisioni un palinsesto concorrenziale a quello dei servizi di stato. In Italia abbiamo assistito a ciò con televisioni private che hanno scalzato la TV di Stato che trasmetteva colti spettacoli di teatro, telequiz che richiedevano, pur nozionisticamente, preparazioni di alto livello, programmi di educazione e formazione, trasmettendo ammiccanti programmi cabarettistici, serie televisive intrise di cultura americana, cinematografia americana, e così via.

Insisto sull’americano perché tali spettacoli sono, ancora oggi, intrisi di valori “calvinisti”, che portano scritto nel DNA la predestinazione dell’uomo: predestinati alla nascita alla salvezza o alla punizione eterna, l’unico modo per capire se il Signore ci ama (e quindi ci salverà) è verificare se ci aiuta a diventare ricchi. Ecco allora la vera molla: arricchire, anche alle spalle di altri, è l’essere prescelti.
La progressiva e incessante “educazione” ricevuta ha influenzato la cultura di fondo, che ha determinato scelte nelle urne elettorali, e quindi determinato le politiche nazionali.
Tutti ricordiamo lo slogan delle Tre I (Informatica, Inglese, Impresa) che hanno caratterizzato le riforme scolastiche di più d’uno dei passati governi. Forse non tutti abbiamo associato quelle tre I con quello che trasmettevano le televisioni, il cui modello vero si basava sulle 3 S (Soldi, Successo, Subito).

Tuttavia, la robustezza dell’impianto scolastico italiano, derivante da un passato di gloriosa cultura, ha resistito, tutt’oggi molte delle scuole superiori italiane sono tra le migliori del mondo. Di ciò non scrivo per sentito dire, poiché ho esperienze dirette di confronto con istituzioni (pur prestigiose) statunitensi, e in genere anglosassoni. Eppure, le famiglie delle classi medio-alte invadono rinomate e costosissime scuole private inglesi, per poi continuare gli studi a prestigiose università di economia, proprio sotto la spinta di slogan come quello delle 3 I, producendo ignoranza proprio in quelle classi sociali destinate al comando: sì, perché i dati statistici mostrano comunque un azzeramento degli ascensori sociali. Un pessimo regalo consegnato alle generazioni future.

In realtà assistiamo al moltiplicarsi dei percorsi scolastici, oramai sono quasi una sessantina, che spaziano dal Liceo Classico, al Liceo del Made in Italy, passando per istituti tecnici economici per il turismo e istituti professionali per la pesca commerciale e le produzioni ittiche.
Nel frattempo, la tecnologia avanza a velocità inimmaginabili, e probabilmente molte delle professioni suggerite da questa pletora di indirizzi saranno scomparse prima del completamento del ciclo di studi[2]!

Ma il guaio peggiore non è la preparazione così specializzata, ma sta nella mancanza di cultura di base che abiliti un pensiero critico: gli studenti di oggi si distinguono, grossolanamente, in due categorie: quelli che provengono da una famiglia colta e quelli la cui formazione dipende solo dalla scuola. I primi solo troveranno la loro strada: confermando uno dei veri ostacoli agli ascensori sociali!

Quando parlo di cultura, non intendo il nozionismo del ricordare le date storiche, o del sapere chi ha scritto il passero solitario: intendo la capacità di estrarre da un insieme di informazioni multidisciplinare una visione critica del mondo del passato, e di quello attuale. Di avere la capacità di esprimere giudizi e desideri sulla società presente e futura, di voler avere la passione e la responsabilità dell’evoluzione della nostra società.
Poiché proprio su una tale idea di cultura si basa il futuro di un popolo, se le istituzioni non ci pensano, tocca a noi tutti riparare: con le idee, con le parole, con i fatti.
Possiamo? Non lo so, ma nulla ci esime dalla responsabilità di provarci.
Come padri, scegliamo scuole di base, solide e “resilienti” ai cambiamenti tecnologici (liceo classico e scientifico possono fornire solide basi di pensiero, e pazienza se i nostri figli non sapranno usare il linguaggio C++. Competenza che, ad onor del vero, è ormai confinata a nuovi operai-laureati.
Come padri, discutiamo a cena con loro di politica, di arte, di esperienze, di notizie, di spettacoli, di libri, di musica.
Come imprenditori o manager, manteniamo sempre attivo un ruolo di “educatori”, anche con i nostri collaboratori, sostituendo eventuali autoritarismi con autorevole trasparenza delle scelte. E ancora, visto che è stato istituito il PCTO – Percorsi per le Competenze Trasversali e l’Orientamento.
La cosiddetta alternanza scuola-lavoro, che, purtroppo. tipicamente immette un giovane inetto in un’impresa, per fare cose che non è in grado di fare e il cui apprendimento richiederebbe più tempo di quello a disposizione per il fare. Tramutiamo il PCTO come un’opportunità, per la crescita culturale del giovane: forse, invece di fargli fare fotocopie, sarebbe più utile, per lui e per noi, chiedergli di osservare alcuni processi aziendali e chiedergli di scrivere una relazione critica sugli stessi. Insomma, facciamo scrivere un “tema”, cosicché, almeno, sia costretto a pensare e a mettere insieme un costrutto scritto che abbia un capo e una coda. Questa ipotesi non è certo poca cosa.

Come cittadini… maturi e consapevoli dobbiamo agire per costruire un substrato culturale-a tutti i livelli- che possa sostituire le 3 I e le 3 S con le 3 P: Passione, Progetto, Politica.
L’unico materiale a disposizione: i giovani. Per aspera ad astra!

[1] Il riferimento alla Francia è legato alla difficoltà di trovare dati per l’Italia. Inoltre, i dati non sono aggiornati agli ultimi anni. Il riferimento è quindi da considerare come spunto di riflessione, piuttosto che come dato economico affidabile.

[2] Già ora mi è capitato di osservare in Istituti tecnici a indirizzo informatico lo studio di prodotti di automazione d’ufficio, presenti sui libri di testo ufficiali, ma scomparsi dal mercato da tempo.